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Domenica 28 Settembre 2014 - Libertà

Botta: la buona architettura ha bisogno della memoria

In Fondazione lezione seguitissima di un architetto di grido che rifiuta la definizione di "archistar". «Siamo corrotti dallo stile internazionale»

La città ci salverà. La città alla maniera europea, a voler essere precisi. Un'insieme di piazze, strade, boulevard, un insieme di sorprese e di memoria. Ultimo antidoto anche alla guerra. Perché l'architettura senza memoria non dialoga con noi.
Parola di Mario Botta, ma per favore non chiamatelo "archistar". Sebbene lo sia. La definizione non gli fa piacere, anzi la detesta. L'architetto Botta ha come cifra stilistica il rigore, una certa posizione morale e dichiara senza giri di parole che oggi «siamo corrotti dall'international style» il quale, a volte, può avere anche una certa grazia, nessuno lo nega, ma per lo più ha perso la capacità di parlarci. E si ripete uguale a se stesso da Dubai a Parigi.
Botta ieri alla Fondazione di Piacenza e Vigevano, gremita di pubblico, ha raccontato la sua idea di architettura alternando parola a immagini.
L'architetto di Mendrisio che si è laureato allo Iuav di Venezia con Carlo Scarpa, che ha collaborato con Le Corbusier e Louis I. Kahn, che ha progettato il Mart di Rovereto, la sinagoga dell'Università di Tel Aviv e SF Moma, il museo d'arte moderna di San Francisco, è forse fra i pochi relatori che può convogliare un pubblico internazionale al festival del Diritto. E di fatti, c'è chi gli fa domande in inglese.
«Nella globalizzazione, l'identità passa attraverso la riconoscibilità di un territorio, di un paesaggio» premette Botta. Lo spazio di vita è quanto può darci gioia, la stessa concezione di "essere", ovvero esistere, vuol dire occupare uno spazio, quindi non conta tanto il manufatto, l'edificio in sé, «ma l'intensità di rapporto con il contesto». Gli edifici contemporanei che vanno bene ovunque non fanno per Botta.
Il filo conduttore del lavoro dell'architetto svizzero sembra essere soprattutto la trasmissione sociale di questa sua visione. Nel passato si è costruito troppo e male, il nuovo è una sfida quotidiana.
L'idea di memoria resta fondamentale per questo progettista immediatamente riconoscibile nei suoi lavori, che a Lugano, per esempio, ha costruito un omaggio al grande architetto seicentesco Francesco Borromini, nato in Canton Ticino, rifacendo a bordo lago e a modo suo una sezione della chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane a Roma, immaginando come il giovane talento potesse aver visto il paesaggio che gli stava intorno e che influenza la sua straordinaria visione barocca.
Botta ha presentato anche una serie di altri lavori, tra cui una chiesa in Val Maggia in Svizzera, rifatta su committenza dei valligiani dopo che una frana aveva sepolto e per sempre cancellato la chiesetta originaria. Ne nasce un lavoro che presidia la memoria sacra del luogo, così come gli chiede la gente, ma costruisce un edificio di tutt'altra forma e "pesantezza" per richiamare anche la resistenza ad ogni possibile frana. L'importante è lasciare il territorio ai figli, alle generazioni che verranno, non impoverito, ma accresciuto semmai. Senza paura della contemporaneità.
In Israele la sinagoga del campus universitario di Tel Aviv, destinata ai giovani di forte fede, nasce come gemella del centro congressi laico. Non c'è volutamente gerarchia tra i due blocchi identici, sotto i quali una piattaforma comune consente il dialogo fra chi frequenta l'una o l'altro. Il progetto vince proprio per l'idea di parità che sembrava così difficile da realizzare. E in queste lezioni c'è già la risposta al tema proprio del festival, quella voglia/bisogno di inclusione dell'altro. Dal pubblico, c'è chi sollecita Botta a esprimersi su tanti edifici nuovi anche delle nostre città storiche, spesso palazzi dominati dal vetro. Ma il vetro, che dovrebbe essere sinonimo di massima trasparenza, in realtà "inganna". Crea opacità, non permette all'interno di un edificio ci comprendere i piani, gli spazi. «Ma se uno di voi passa vicino all'abside di una chiesa, ha subito l'idea di quello spazio... » suggerisce l'architetto.

Patrizia Soffientini patrizia.soffientini@liberta.it

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