Lunedì 29 Settembre 2014 - Libertà
Poter decidere sulla morte secondo la propria identità
Paolo Zatti sulle grandi decisioni del fine-vita
La morte? È un diritto rubato per Paolo Zatti, docente dell'università di Padova che ieri mattina è intervenuto all'Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano nell'incontro introdotto da Stefano Rodotà e dedicato appunto alle "Storie di morte rubata". A finire nel mirino è stato il resistente tabù della morte che, insieme all'incertezza del diritto e alla medicina cosiddetta "difensiva", genera una serie di condotte di medici, familiari e pazienti che esclude la persona dalle decisioni di fine vita.
«Io credo che ci sia un diritto che sta scritto nel centro della dignità della persona ed è quello a passare la propria morte in maniera conforme alla propria identità e non come un pacchetto standard - ha spiegato Zatti, - purtroppo invece oggi siamo tutti alle prese con un cammino standardizzato verso la morte che nasce da un velo di indicibile steso sulla malattia».
Alla base di tutto c'è un paradosso tutto italiano: a livello legislativo il Paese risulta bloccato perché, come ha spiegato il docente universitario, «non siamo riusciti a fare quello che invece è avvenuto in altri Paesi europei come la Germania, dove è stata promulgata una legge sulle disposizioni del paziente che è stata accettata anche dalla chiesa e dai vescovi tedeschi. In Italia invece la situazione è sostanzialmente diversa: non ci sono regole che diano tranquillità sotto il profilo legislativo».
Diverso è invece il discorso relativo alle prassi mediche: sotto questo profilo Zatti ha ricordato ad esempio le iniziative interessanti promosse da Siiarti, ossia la società che raduna i medici di terapia intensiva, gli anestesisti e i rianimatori, intese a riuscire ad assicurare il diritto alle persone a lasciarsi morire quando ormai non c'è più speranza.
«Lo scenario della sanità invece è più duro - ha continuato Zatti, - il medico risulta infatti intrappolato giuridicamente da una nostra carenza di legislazione e da un'incertezza della giurisprudenza che risultano entrambe scandalose. Mancando delle leggi chiare, la paura di essere accusato di non avere prolungato le tecniche di vita assistita c'è. A mancare invece è un'assistenza a domicilio adeguata per finire la vita in casa propria».
C'è un'educazione che non accetta la fine della vita, ma che anzi invita a non arrendersi anche di fronte all'impossibile: «Si crea una trappola in cui la morte è preclusa alla persona che la vive - ha concluso Zatti, - gli si impone una morte standard».
Betty Paraboschi