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Venerdì 26 Settembre 2014 - Libertà

L'appello di Salvatore Settis: «Basta periferie-ghetto»

«Città obese con centri storici luoghi dello shopping, del lusso e degli affitti elevati. Ripensare la città è il solo modo per garantirci un futuro»

«Oggi molti cittadini hanno perso il "diritto alla città", relegati nei ghetti simbolici delle periferie a causa degli affitti insostenibili o dei centri storici trasformati in centri per lo shopping: ma così rischiamo di perdere noi stessi e il nostro futuro. Ribellarsi non è solo un diritto ma un dovere». È questo il grido di allarme lanciato ieri al Festival del Diritto da Salvatore Settis - archeologo, studioso di beni culturali, già direttore della scuola Normale di Pisa - in un incontro sul tema: "Diritto alla città e capitale civico". Una vera e propria «lezione manifesto» come l'ha definita il giornalista di Repubblica Pietro Veronese che alla Fondazione di Piacenza e Vigevano ha moderato l'incontro legato alle parole chiave "partecipazione ed esclusione". Veronese ha presentato Settis come «un combattente culturale contro l'oppressione politica».
Nella sala strapiena, affollata in gran parte di giovani, Settis ha svelato la propria ricetta per le città del futuro e ha ricevuto in cambio un'ondata di applausi.
Per illustrare l'esclusione dalla città lo studioso parte dall'idea di ghetto. «Il ghetto - spiega - può essere anche un aspetto positivo: è il luogo dove gli esclusi elaborano la propria autocoscienza e si organizzano. Metaforicamente, noi come minoranza possiamo rafforzarci contro la cultura dominante. Ma si deve ripartire proprio dalla città».
La città, osserva Settis, è il luogo che gli uomini hanno costruito per la loro vita sociale e pubblica ed è stata costruita in modo da durare nel tempo. «Scheffler immagina che, se domani finisse il mondo, le persone sarebbero più dispiaciute per le sconosciute generazioni future piuttosto che per la propria vita: molto di ciò che facciamo quotidianamente è orientato su tempi lunghi che vanno oltre la nostra esistenza».
La città diventa così un patrimonio da tramandare e un modo per mantenere intatta la società di cui è specchio: distruggere la città significa non dare spazio al futuro. «Ciò che si fa "in" piazza lo si fa "per" la piazza, cioè per un organismo collettivo. Oggi esistono soprattutto città "obese", che si allargano come una colata lavica con le loro periferie miserevoli e fanno implodere i centri storici» aggiunge. «Questi sono diventati luoghi dello shopping, del lusso, dei "centri commerciali naturali" e degli affitti elevati: i giovani e i pensionati come altri gruppi sociali sono costretti a vivere in periferia: è una sorta di "pulizia etnica" in base al reddito. E' il caso di Venezia e di molte altre città. Eppure in Brasile nel 2001 è stata approvata una legge sul "diritto alla città" e sulla funzione sociale della proprietà privata. Così fa la nostra Costituzione al disatteso articolo 42».
Che fare allora? Settis invita ogni cittadino a fare la propria parte. «Ci sono - conclude - le associazioni dei cittadini che si battono contro demolizioni e speculazioni per difendere un capitale civico costruito nell'arco di secoli, l'unico che non si deprezza con l'uso. Si può mutare la città ma con rispetto, senza abbandonarla né tradire il suo codice genetico. Va ripensata in base alle sfide di oggi, prima fra tutte il diritto al lavoro. E' questo l'unico modo per garantirci un futuro».

Cristian Brusamonti

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