Lunedì 8 Settembre 2014 - Libertà
"Il Po ricorda": con gli storici Sassi e Fava anche il Grande fiume visto da Fontanesi
di ANNA ANSELMI
"Il fiume non più come confine, ma come opportunità di sviluppo": tra la fine dell'800 e l'inizio del 900 il rapporto tra Piacenza e il Po attraversò un'ulteriore fase di trasformazione, tra le cui implicazioni ha accompagnato la scorso appuntamento della manifestazione Il Po ricorda, organizzata dall'associazione Arti e pensieri con il Comune, il patrocinio del Francigena festival, il sostegno di Fondazione di Piacenza e Vigevano e Selecar. L'iniziativa, a causa del tempo incerto, si è tenuta, invece che sul Lungopo, a Palazzo Farnese, dove il programma è stato comunque rispettato, in un excursus direttamente collegato alla visita guidata conclusiva, prevista mercoledì alle ore 17.30 nelle sale della Galleria d'arte moderna "Ricci Oddi". Non a caso, tra le immagini proiettate durante la conferenza degli storici dell'arte Raimondo Sassi ed Elena Fava, svoltasi nel Salone Pierluigi, campeggiava un quadro di Antonio Fontanesi, Il Po a Torino, che si potrà ammirare nel museo di via San Siro e che ha fornito a Sassi l'occasione per presentare un esempio di paesaggio ancora saldamente ancorato alla natura, in controtendenza con un altro approccio: «Dalla seconda metà dell'800 fino alla vigilia dell'entrata in guerra dell'Italia, nel 1915, il paesaggio comincia però anche a rispecchiare la modernizzazione, che procede di pari passo con l'evoluzione tecnologica» ha premesso Sassi. Così, «a segnare profondamente il paesaggio fluviale concorrono i due ponti, quello ferroviario del 1861-65, e quello stradale, inaugurato nel 1908, come pure gli interventi di bonifica e l'innalzamento degli argini. Convivono modi diversi di intendere il paesaggio, anche discordanti tra di loro». Del resto, il Po da oasi di placida tranquillità può rivelarsi minaccia devastante: «Le fotografie dell'alluvione del 1907 ci mostrano le conseguenze nei quartieri più poveri di Piacenza, la cui popolazione era ben lontana dalle condizioni di benessere che ci consegnano i quadri della Belle Epoque. Permane poi il divario tra città e campagna». Il retaggio arcaico di quest'ultima, depositaria di una relazione privilegiata con la natura, è emerso soprattutto nell'esposizione di Fava, dedicata specialmente ai carri agricoli e alle loro decorazioni in ferro, in cui si manifesta «il confronto tra due mondi, pagano e cristiano, colto e popolare. I carri - ha proseguito Fava - verranno sostituiti dalla meccanizzazione che nel secondo dopoguerra ha modificato irreversibilmente l'agricoltura e il paesaggio italiani. Rappresentano quindi un mondo scomparso, oggi guardato con atteggiamento nostalgico, perché ha saputo custodire talvolta - pur senza reale consapevolezza - un sistema di simboli strettamente legati alla cultura delle acque e del fiume».
Un esemplare di queste decorazioni è stato realizzato sul posto dal fabbro-artista Massimiliano Bertuzzi. I bambini hanno invece costruito un piccolo libro di carta, guidati da Mariarosa Lommi. Quale omaggio alla pittura del periodo, il pubblico era stato invitato a indossare un abbigliamento in tema. Richiesta che ha raccolto l'adesione di più di un centinaio di persone.